All’Ebraismo i Padri del Concilio hanno dedicato il numero 4 del documento Nostra Aetate evidenziando come La Chiesa e la stessa missione di Gesù e degli apostoli hanno fondamento nella tradizione ebraica, partendo proprio dall’ alleanza che Dio ha stipulato con il popolo eletto:
«Scrutando il mistero della Chiesa, il sacro Concilio ricorda il vincolo con cui il popolo del Nuovo Testamento è spiritualmente legato con la stirpe di Abramo. La Chiesa di Cristo infatti riconosce che gli inizi della sua fede e della sua elezione si trovano già, secondo il mistero divino della salvezza, nei patriarchi, in Mosè e nei profeti. Essa confessa che tutti i fedeli di Cristo, figli di Abramo secondo la fede, sono inclusi nella vocazione di questo patriarca e che la salvezza ecclesiale è misteriosamente prefigurata nell’esodo del popolo eletto dalla terra di schiavitù. Per questo non può dimenticare che ha ricevuto la rivelazione dell’Antico Testamento per mezzo di quel popolo con cui Dio, nella sua ineffabile misericordia, si è degnato di stringere l’Antica Alleanza, e che essa stessa si nutre dalla radice dell’ulivo buono su cui sono stati innestati i rami dell’ulivo selvatico che sono i gentili. La Chiesa crede, infatti, che Cristo, nostra pace, ha riconciliato gli Ebrei e i gentili per mezzo della sua croce e dei due ha fatto una sola cosa in se stesso. Inoltre la Chiesa ha sempre davanti agli occhi le parole dell’apostolo Paolo riguardo agli uomini della sua stirpe: «ai quali appartiene l’adozione a figli e la gloria e i patti di alleanza e la legge e il culto e le promesse, ai quali appartengono i Padri e dai quali è nato Cristo secondo la carne» (Rm 9,4-5), figlio di Maria vergine. Essa ricorda anche che dal popolo ebraico sono nati gli apostoli, fondamenta e colonne della Chiesa, e così quei moltissimi primi discepoli che hanno annunciato al mondo il Vangelo di Cristo. Come attesta la sacra Scrittura, Gerusalemme non ha conosciuto il tempo in cui è stata visitata; gli Ebrei in gran parte non hanno accettato il Vangelo, ed anzi non pochi si sono opposti alla sua diffusione. Tuttavia secondo l’Apostolo, gli Ebrei, in grazia dei padri, rimangono ancora carissimi a Dio, i cui doni e la cui vocazione sono senza pentimento. Con i profeti e con lo stesso Apostolo, la Chiesa attende il giorno, che solo Dio conosce, in cui tutti i popoli acclameranno il Signore con una sola voce e « lo serviranno sotto uno stesso giogo » (Sof 3,9). Essendo perciò tanto grande il patrimonio spirituale comune a cristiani e ad ebrei, questo sacro Concilio vuole promuovere e raccomandare tra loro la mutua conoscenza e stima, che si ottengono soprattutto con gli studi biblici e teologici e con un fraterno dialogo. E se autorità ebraiche con i propri seguaci si sono adoperate per la morte di Cristo, tuttavia quanto è stato commesso durante la sua passione, non può essere imputato né indistintamente a tutti gli Ebrei allora viventi, né agli Ebrei del nostro tempo. E se è vero che la Chiesa è il nuovo popolo di Dio, gli Ebrei tuttavia non devono essere presentati come rigettati da Dio, né come maledetti, quasi che ciò scaturisse dalla sacra Scrittura. Curino pertanto tutti che nella catechesi e nella predicazione della parola di Dio non si insegni alcunché che non sia conforme alla verità del Vangelo e dello Spirito di Cristo. La Chiesa inoltre, che esecra tutte le persecuzioni contro qualsiasi uomo, memore del patrimonio che essa ha in comune con gli Ebrei, e spinta non da motivi politici, ma da religiosa carità evangelica, deplora gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell’antisemitismo dirette contro gli Ebrei in ogni tempo e da chiunque. In realtà il Cristo, come la Chiesa ha sempre sostenuto e sostiene, in virtù del suo immenso amore, si è volontariamente sottomesso alla sua passione e morte a causa dei peccati di tutti gli uomini e affinché tutti gli uomini conseguano la salvezza. Il dovere della Chiesa, nella sua predicazione, è dunque di annunciare la croce di Cristo come segno dell’amore universale di Dio e come fonte di ogni grazia».
Nostra Aetate, 4
Per meglio conoscere la religione dei nostri fratelli, di seguito sono riportati alcuni principi di fede dell’ebraismo.
Alla base di tutto vi è anzitutto la fede in unico Dio assoluto e personale che dona la Torah e interviene nella Storia. Conseguenza naturale di questo rapporto con Dio è l’alleanza: la prima con Noè dopo il diluvio universale, la seconda con Abramo e la terza con il popolo di Israele al Sinai.
Un altro pilastro fondamentale per i nostri fratelli Ebrei è la categoria di Elezione che riassume il particolare rapporto che si è instaurato tra Dio e il popolo d’Israele. Il fatto però di essere il popolo eletto da Dio crea più doveri che privilegi: bisogna vivere con fedeltà l’impegno assunto con Dio, scegliendo di compiere sempre la sua volontà.
In questo rapporto particolare con il Signore, emerge anche la responsabilità dell’uomo e le sue azioni frutto del libero arbitrio: Dio infatti non può giudicare gli atti umani se l’uomo stesso non ha scelto di compierli. Potremmo dire, quindi, che la legge divina è una legge morale che interpella la volontà e l’assenso della creatura umana.
Accanto all’amore per Dio, un altro caposaldo della religione ebraica è l’amore per il prossimo che trova fondamento nel libro del Levitico. Il pio Israelita è chiamato a vivere la carità che si concretizza non solo in offerte in denaro ma visitando gli ammalati e praticando la giustizia verso tutti con rigore e compassione. Il rispetto per la persona umana e la vita è uno dei valori supremi del giudaismo poiché la vita è dono di Dio: salvare una vita equivale a salvare l’universo.
Un ultimo principio è quello della speranza messianica che realizzerà un regno di giustizia e di pace. Il credente è chiamato a vivere un’attesa vigilante e attiva.