Dal Nuovo Dialogo del 12 Marzo
È quello che sostiene l’imam Sajfeddin Maaroufi, che opera a Lecce, che abbiamo intervistato: “Abbiamo seguito con interesse questo viaggio del Papa in Iraq per la sua grande importanza”
È stato Papa Francesco, la massima guida dei cristiani cattolici, a imprimere un’accelerazione al dialogo interreligioso, dando la disponibilità concreta alla creazione di ponti per una fraternità costane e durevole. Ci siamo interrogati sull’eco di questa iniziativa anche tra la nostra gente, ma abbiamo voluto cercare di capire se questo viaggio del Santo Padre è stato seguito e compreso, nella sua dimensione, anche tra i tanti islamici che oggi vivono nel nostro territorio. Così abbiamo rivolto alcune domande a un imam molto noto, Sajfeddin Maaroufi, che da anni opera a Lecce e che volentieri ha dialogato con noi.
Lei e gli islamici che vivono in Puglia avete seguito il viaggio di Papa Francesco in Iraq?
Certamente. Io e gli altri che frequentano la moschea abbiamo seguito l’evento per la sua importanza, per quello che ci è stato possibile. L’incontro con la grande guida degli sciiti, l’Ayatollah al-Sistani, ha un significato per tutti gli islamici, anche se non è stato sottoscritto un accordo di fratellanza, come quello di Abu Dhabi del febbraio 2019, firmato dal Papa e dal Grande Imam sunnita di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb.
Lei, infatti, è un imam sunnita, la vostra comunità è composta soprattutto da musulmani di confessione sunnita, ma vi è distanza con gli sciiti? Essi frequentano la vostra moschea?
La gran parte degli islamici è fatta da sunniti, gli sciiti sono concentrati in Iraq e parte in Iran, ma vi sono comunità anche in Pakistan e in altri paesi, come la Siria. La nostra moschea è frequentata anche da sciiti, perché noi non guardiamo alle nostre differenze, di tradizioni, di dottrina, ma a ciò che unisce, ma in Puglia non sono molti, poiché loro si sono trapiantati soprattutto nei paesi del Nord, in Svezia o in Germania.
Quale significato assume per voi questo evento?
Un grande significato. Al di là della sottoscrizione di un atto, è il percorso di pace fra religioni diverse che oggi deve unire tutti, oltre le divisioni, che pure sono tra i cristiani come tra i musulmani. E noi così abbiamo vissuto questo viaggio, pensando che il Papa è la dimostrazione che non ci sono più nemici all’interno delle religioni. Egli ha descritto la Mesopotamia come la terra originaria e sappiamo che le nostre diversità non sono motivo di odio, perché i conflitti sono provocati da politici e strumentalizzati da persone che usano la religione, e il preteso di fondare “stati islamici” come scusa per alimentare odi e differenze e per espandere il proprio potere. È quello che sta accadendo, ad esempio, in Yemen, dove si scontrano gli interessi dell’Iran e dell’Arabia Saudita, che creano enorme sofferenza al popolo, ma la religione non c’entra per niente.
È quello che è accaduto anche in Siria.
Più o meno è nella stessa logica. Quando scoppiò la cosiddetta Primavera araba, che qualcuno vedeva come una primavera di libertà, in realtà si sfruttarono motivi religiosi: in Siria si usava a pretesto il fatto che il presidente Assad fosse alauita, cioè membro di una minoranza, che governava un paese. Così si inserirono persone che con la guerra e il terrorismo cercarono di assumere il potere. Ma l’Isis e i terroristi non hanno a che fare con la religione.
Lo stesso pretesto con il quale sono stati perseguitati i cristiani che, fino a pochi anni fa, convivevano tranquillamente con i musulmani.
L’odio e la violenza creano queste cose. In Iraq come in Siria e in tanti altri paesi a maggioranza islamica, le chiese e le moschee hanno sempre convissuto. I cristiani maroniti sono presenti già dall’epoca dell’Impero Romano d’Oriente, e molto numerosi in Libano o in Giordania. Così pure dopo il genocidio degli armeni, che sono cristiani, molte colonie di profughi furono accolte dai nostri Paesi, nei quali hanno convissuto pacificamente. Sono stati i criminali dell’Isis che hanno innescato la spirale dell’odio. Ma noi sappiamo bene come la Chiesa Cattolica, soprattutto a partire dal Concilio, e con la “Nostra aetate” ha aperto la strada di un dialogo che non si può più fermare.