Dal Nuovo Dialogo del 12 Marzo
Quello compiuto da Papa Francesco in Iraq, il cui significato dovrà ancora essere approfondito. Ma sono gli stessi musulmani sciiti ad assicurare che questo dialogo non può più fermarsi
La fede e la religione: due concetti che nella nostra mente e nella nostra comune accezione dovrebbero essere così vicine da identificarsi, possono diventare due fattori di antitesi, essere, cioè, facce della stessa medaglia che rischiano di non guardarsi in faccia, di non riconoscersi pienamente. Può sembrare paradossale, ma se vogliamo il sottofondo del viaggio epocale fatto nei giorni scorsi da Papa Francesco in Iraq ci dice proprio questo: la fede che, secondo le parole di San Paolo, è il fondamento delle cose che si sperano e la prova di quelle che non si vedono, ed che per questo è il rapporto di ogni uomo con Dio, può persino venire limitata dalla propria confessione religiosa se questa non insegna il rispetto per la fede che esprimono in Dio credenti di altre confessioni.
Insomma: il dialogo interreligioso, come già prima il dialogo ecumenico, è proprio il riconoscere che tutti crediamo in un unico Dio, dato che c’è un solo Dio, anche se lo facciamo seguendo insegnamenti diverse, rivelazioni diverse, tradizioni e testimoni diversi. Nella direzione opposta va la strada del disconoscimento, che porta all’avversione, all’inimicizia e che ha portato e può ancora continuare a portare alla guerra e a fenomeni distruttivi come il terrorismo.
Riconoscersi in Abramo, nel quale le tre grandi religioni monoteiste vedono il comune padre della fede e della rivelazione iniziale di Dio, è un primo passo che tutti siamo chiamati a compiere, e per questo il viaggio di Francesco nella città di Abramo, che oggi ricade in territorio iracheno, dove purtroppo i cristiani, che da sempre vi avevano pacificamente convissuto, come pure avveniva in Siria, dove veniva loro riconosciuto un ruolo importante nella vita del Paese, sono oggi perseguitati. E questo avviene proprio nel nome di un religiose, usata strumentalmente, in modo contrario ai sua suoi stessi insegnamenti.
Il viaggio di Papa Francesco è stato lungamente preparato, a partire alla sottoscrizione del documento avvenuto negli Emirati Arabi, nel 2019, attraverso un attento lavoro che ha messo a punto modalità, obiettivi e contenuti. Se negli Emirati la maggioranza dei musulmani è composta da sunniti, in Iraq è invece composta dagli sciiti.
Durante la preghiera collettiva in moschea, un predicatore ha guidato nei giorni precedenti alla visita, la folla di fedeli in una preghiera di benvenuto salmodiata: “Con fratellanza umana accogliamo questo nostro Wahef (termine arcaico per indicare il ‘servitore della Chiesa’, oggi inteso anche nel significato di ‘vicino’). Nel papa dei cristiani vediamo il papa dei musulmani. Questo – ha proseguito il predicatore – è un evento sublime, una presa di posizione eterna: Francesco visita il nostro Seid (Signore, discendente di Maometto) Ali, è con sommo onore che vi siamo a fianco”.
Il 33° viaggio di Papa Francesco ha avuto inizio nel palazzo presidenziale, primo atto del primo viaggio di un Papa nella terra di Abramo, ma è il secondo atto a colpire nell’emozione e nell’immaginazione in modo più intenso, non solo per la gioia, evidente sul volto del Papa, di essere accolto da una folla festante, diligentemente distanziata ma calorosa, felice di fare festa per l’arrivo della persona più attesa. Un viaggio suggellato dal lungo colloquio Grande Ayatollah al-Sistani, 91enne guida spirituale degli sciiti, e che è ricco di significati ancora tutti da decifrare nella loro pienezza.
Un viaggio che il Papa ha concluso lanciando un messaggio forte ma chiarissimo “La migrazione è un diritto doppio: diritto a non migrare, diritto a migrare”. Lo ha detto nella conferenza stampa sul volo di ritorno da Roma a Baghad. “Questa gente – il riferimento agli iracheni – non ha nessuno dei due, perché non possono non migrare, non sanno come farlo. E non possono migrare perché il mondo ancora non ha preso coscienza che la migrazione è un diritto umano”.
L’importanza storica di questo viaggio la evidenzia, tra l’altro, il presidente degli Stati Uniti: “Vedere Papa Francesco visitare antichi siti religiosi, incluso il luogo di nascita biblico di Abramo, trascorrere del tempo con il Grande Ayatollah Ali al-Sistani a Najaf e offrire preghiere a Mosul, una città che solo pochi anni fa ha sopportato la devastazione e l’intolleranza di un gruppo come l’Isis – ha detto Biden nella sua dichiarazione ufficiale -, è un simbolo di speranza per il mondo intero”.
Il presidente americano ha definito il viaggio “storico” e ha elogiato l’incoraggiamento offerto dal Papa alla popolazione cristiana perseguitata: “Ha inviato un messaggio importante: che la fraternità è più durevole del fratricidio, che la speranza è più potente della morte, che la pace è più potente della guerra”.
Che questo viaggio abbia aperto nuovi orizzonti lo conferma, infine, la promessa fatta, da Najaf, da Sayyed Jawad Al-Khoei, esponente di spicco del mondo sciita iracheno: “Dobbiamo continuare a rafforzare le nostre relazioni come istituzioni e individui. Presto ci recheremo in Vaticano per assicurarci che questo dialogo continui, si sviluppi e non si fermi qui”.