Mons. Cristobal Lopez Romero: dobbiamo passare all’amicizia

un primo bilancio dell'arcivescovo di Rabat al termine del viaggio apostolico.

Quali frutti ora vi aspettate concretamente nei settori un po’ più delicati come il dialogo con i musulmani, ma anche la vita dei migranti e la vita della Chiesa?

R. – Iniziamo con il dialogo interreligioso, islamico-cristiano: pensiamo che, con quello che hanno detto il Re e il Papa, possiamo fare un passo in avanti. Fino ad ora si parlava molto di “coesistenza” e di “tolleranza”, ma il Re ha detto che la tolleranza “è poco”. Io questo lo dicevo anche dopo un anno: cioè che dobbiamo passare all’amicizia, alla conoscenza mutua, all’arricchimento reciproco e a fare delle opere insieme: a costruire insieme la fraternità universale cominciando da noi. Dobbiamo fare un salto qualitativo nel dialogo islamico-cristiano: questo non so se sapremo farlo, ma è il nostro lavoro a partire da questo momento. Per quanto riguarda i migranti, continuiamo sulla stessa linea perché il Papa ci ha ribadito i quattro verbi che conoscevamo: “accogliere, proteggere, promuovere, integrare”; e dobbiamo studiare come andare avanti in questa strada. Parlando dell’Europa e del mondo intero: bisogna cambiare il mondo! Questa situazione, di persone che migrano in condizioni che non sono umane, non si risolve semplicemente con misure poliziesche o amministrative: bisogna aprire i cuori, è necessario che le porte siano aperte dopo aver aperto i cuori. E bisogna cambiare le leggi del commercio internazionale, il sistema economico, affinché ciascuno possa restare nel proprio Paese e non sia obbligato a lasciare lo stesso a causa della guerra o per ragioni economiche. Migrare è un diritto, ma deve potersi fare in una forma ordinata e rispettosa dei diritti umani.

Ultimo tema: il proselitismo. Il Papa vi ha fatto riferimento oggi in cattedrale, parlando ai religiosi e al clero ma c’è ancora paura nel mondo musulmano per il proselitismo dei cristiani, dei cattolici…

R. – Perché ci sono cristiani che non capiscono questo aspetto: la Chiesa non vuole fare proselitismo. Già Benedetto XVI diceva: “La Chiesa cresce non per proselitismo ma per attrazione, per testimonianza”. Per questo noi siamo “comodi” qui in Marocco, dove il proselitismo è interdetto, perché noi non vogliamo fare del proselitismo. Il nostro obiettivo non è “aumentare i clienti della Chiesa”: il nostro obiettivo è il Regno di Dio, che la pace cresca, che ci sia più fraternità, rispetto della vita, più amore, più verità. Allora, il Regno di Dio è già presente ma deve crescere molto. I musulmani non parlano del Regno di Dio – è una categoria cristiana –, ma lavoriamo insieme per un mondo nuovo, misericordioso, dove la misericordia sia la base delle relazioni umane. E questo darà la possibilità di vivere in fraternità. Penso che il Marocco un giorno scoprirà anche che i cristiani, almeno noi cattolici, non abbiamo questo obiettivo, anche se penso che lo abbiano già scoperto perché ci rispettano molto, ci stimano e ci danno una mano quando abbiamo bisogno.

 

Per l’intervista completa:

https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2019-04/intervista-arcivescovo-rabat-viaggio-papa-papmar.html