Le prime parole del 266° successore dell’Apostolo Pietro hanno mostrato tutto l’interesse per la teologia conciliare e nel collocare tra le coordinate della diakonìa e Koinonia il ministero del vescovo di Roma. Subito dopo l’elezione, infatti, il Papa ha parlato della Chiesa di Roma come un’unica compagine tra «vescovo e popolo insieme», chiamata a presiedere le altre nella carità. Parole che rivelano una visione sulla Chiesa molto affascinante e che donano al ministero petrino la giusta angolazione per comprendere a quale grande responsabilità il Vescovo di Roma è chiamato.
Le parole che Francesco pronunciò quel giorno sono profondamente radicate nella grande Tradizione della Chiesa. Perché nel primo millennio era assolutamente chiaro che la Chiesa di Roma, unita attorno al proprio vescovo, era chiamata a esercitare questo servizio della presidenza nella carità in rapporto a tutte le altre Chiese locali. L’espressione citata da papa Francesco appartiene a sant’ Ignazio di Antiochia, che, scrivendo ai romani mentre era condotto al martirio avvenuto intorno al 107, ricordava che la Chiesa di Roma è colei che presiede nella carità tutte le Chiese. Questo perché il vescovo di Roma è successore di Pietro e la Chiesa di Roma è quella in cui l’apostolo Pietro e l’apostolo Paolo hanno subito il martirio. Per il singolare legame con i due apostoli, quindi, il vescovo di Roma esercita questo ministero.
Per cui il primato di Roma va inteso secondo la logica di S. Ambrogio Petrum egisse primatum confessionis, non honoris; fidei, non ordinis. Un ministero che profumi di servizio e di solidarietà, di concreta carità e di dialogo.